Katarte / La pittrice Dadamaino e la percezione del colore
Volume, idropittura su tela,1959, (part.)
Biglietti non disponibili
11 ottobre – 30 novembre 2014
Una grande retrospettiva con circa ottanta opere dell’artista milanese che vanno a comporre il tracciato di un affannoso tragitto durato quattro decenni che la Dadamaino ha percorso quasi nell’isolamento, puntando a uno screening che ha resistito ben saldo, indifferente agli scalpori dell’apparato artistico. La mostra Dadamaino (Eduarda Maino 1930-2004), in collaborazione con Archivio Dadamaino e Sotheby’s, è suddivisa in sei sezioni (Volumi e volumi a moduli sfasati; La ricerca ottico-cinetica: i Componibili, Ricerca del colore, Superfici volumi, Cromorilievi; L’inconscio razionale, L’alfabeto della mente; I fatti della vita (Biennale di Venezia 1980)); Dagli Interludi a Seind und Zeit; Il movimento delle cose (Biennale di Venezia 1990). Ospitato nei 1500 metri quadrati dello spazio espositivo e curato da Paolo Campiglio, l’evento intende dare una fresca motivazione alla comprensione e al riconoscimento di questa donna che, con i suoi quadri e il fervore civile, ha in parte scritto pagine di storia dell’Italia contemporanea.
Si dedica all’arte alla fine degli anni Cinquanta, dopo la laurea in medicina e coltiva la sua formazione nel clima di sperimentazione volto verso l’astrazione geometrica dello spazialismo italiano. Sono gli anni della Milano che guarda a Düsseldorf e Parigi, Bruxelles e Amsterdam. Le prime esperienze vissute sotto la scuola di Lucio Fontana, i fruttuosi incontri milanesi con i più giovani Piero Manzoni e Enrico Castellani, pool di prodigiosa fecondità: con Azimuth, breve test di galleria e magazine (solo due numeri) che rappresenta un mix di input energici, scalpitanti impulsi. La Dadamaino è di questa memorabile squadra, da subito, attaccata purtroppo da una critica cieca e limitata.
Personaggio raffinato ed erudito, Dadamaino esordisce dallo studio metodico della teoria del colore, sviluppando la sua creatività nell’ambito della sperimentazione e della ricerca, modificandone il linguaggio. Ha rincorso le vie segnate da Paul Klee e Johannes Itten, ambedue, negli Anni ’20, insegnanti alla Bauhaus di Weimar, per giungere alle composizioni geometriche “surreali”, che giocano sull’ambiguità delle forme e dei contrasti, già scandagliati prima da Victor Vasarely con la cosiddetta “op art” e dopo da Frank Stella.
Nell’armonia della limpidezza che inizia a manipolare, la Dadamaino coglie istintivamente la chiave adatta della purezza ed essenzialità dello stile. La sua opera deve essere rivisitata con un svecchiato atteggiamento critico, adocchiando un linguaggio che si è frastagliato attorno ai temi della visione, della percezione del colore, di una nuova interpretazione di spazio e di tempo. Una scrittura, la sua, che si traduce nella calligrafia di un alfabeto non scritto evidenziando i dubbi che hanno tempestato la lunga analisi indirizzata da Dadamaino all’enigmaticità del vedere, all’efficacia dell’agire.
Cerchi e ovali, singoli o ritmati, con i loro margini slabbrati e irregolari scagliati sulle tele grezze, ora bianche o nere, operano un cambio di passo decisivo, aprendo rivoluzionari argomentazioni sulla pittura. Si rimette in gioco il concetto di esteticità in una misura tutta interiore del fare, in un concatenarsi di valutazioni che non si danno mai per scontate.
II suo è un pregnante segno danzante, ora veloce, ora lento, ora in sospensione; è calcato o impalpabile o saltellante. Non vuole sottintendere una recondita premeditazione. Si concede in un assoluto dove si annidano istinto e finalità, calcolo e progetto psichico e fisico. Esperimento oltremodo surrealista dove la tempestività è universale, concentrata e lampante.
Escludendo utopie farraginose, per Dadamaino è essenziale convivere con il nostro inconscio senza contraddizione o esitazione, scansando i rischi di grovigli cerebrali e invadenti. Non dettare clausole restrittive all’espansione illimitata dell’esperienza, vivendola sul proprio corpo e tenendo a debita distanza arzigogolii unilaterali. “Non sono per l’asettico nitore, né per la contemplazione muta o per il mistico isolamento…” “Dietro i grandi buchi vedevo un muro pieno di luci e ombre che vibravano e si muovevano…”, scrive Dadamaino.
L’accuratezza lessicale e il tono elevatissimo di limpidezza della sua immagine hanno, aprioristicamente, questo pregio. L’esperimento spontaneo che Dadamaino mette in atto è la l’inquietudine fino allo stremo dello stravolgimento o della decadenza della regola, del criterio teorico e sistematico. Delle ottanta opere in mostra ad Asti, che ripercorrono la carriera artistica di Dadamaino, una parte si sposteranno a Londra, alla galleria S|2 di Sotheby’s con il titolo “Dadamaino A selling exhibition”.
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