Katarte / Rottamare la vecchia Italia. Il sogno del Futurismo al Guggenheim di New York
Gino Severini. Ballerina blu (part.) 1912
Biglietti non disponibili
Fino al 1 settembre
L’invasione futurista nella Grande Mela ha uno sguardo attento anche in ambito culinario così come per la moda (i panciotti di Fortunato Depero per Marinetti), che erano parte integrante della vita e dello stile futurista. Lo stesso Marinetti nel 1932 scrisse un Manuale di Cucina, sfida aperta al buon borghese Pellegrino Artusi e alla sua Arte del Mangiar Bene.
L’abolizione della pastasciutta, “assurda religione gastronomica italiana” è uno degli obiettivi delle cene che iniziano invece dal caffè’ e dove i condimenti tradizionali e la politica a tavola sono messi al bando. Immaginarsi di cenare nella sala da pranzo di Casa Cimino a Roma disegnata all’inizio degli anni Trenta dal perugino Gerardo Dottori, consumando un “anti-pasta” sui piatti di ceramica di Bruno Munari e Torido Mazzotti, per concludere, o magari cominciare, col caffè’ nel servizio 1928 firmato Giacomo Balla.
Il tutto all’insegna di una visione proiettata verso il futuro che promuove la creazione di “bocconi simultaneisti e cangianti”, invitando gli chef a inventare nuovi sapori e incoraggiando l’accostamento di musiche, poesie e profumi alle pietanze. La madre della curatrice Vivien Greene, una chef italiana, proporrà un assaggio ai membri del museo in una delle serate riservate. Presente anche un servizio di piatti di Giovanni Acquaviva del 1939, che segno’ la fine del Futurismo: “Fascismo Futurismo”, e’ scritto su uno dei 12 pezzi decorato con una grossa “F”, su un altro: “Duce Duce Duce”.
La mostra si snoda sulla rampa elicoidale del Guggenheim trasformato per l’occasione “in opera d’arte totale”: arrivati al sesto piano, dove sono esposti quadri e foto di aeropittori –Tullio Crali, Dottori, Filippo Masoero, Guglielmo Sansoni, lo stesso Balla e Benedetta, la moglie di Marinetti- capita di provare, quando si guarda in basso, lo stesso brivido dalla prospettiva distorta di quei primi voli. “Sono in tutto 360 opere, se includiamo le tazzine da caffè’, di oltre 80 artisti, alcune delle quali non avevano mai lasciato l’Italia”, ha detto la curatrice Vivien Greene.
Il Guggenheim, una delle più importati istituzioni museali al mondo, è riuscito ad aggiudicarsi “un colpo raro”, il prestito delle cinque grandi tele murali di Benedetta Cappa sdebidandosi dando risonanza a dei dipinti poco noti in patria. La pittrice piemontese era moglie di Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Movimento, e ricevette la commissione dal regime di Benito Mussolini per il Palazzo delle Poste di Palermo e le realizzò fra il 1933 e il 1934 senza mai lasciare il capoluogo siciliano. Il gruppo di tele è denominato ‘Sintesi e comunicazioni’ e puntò a rappresentare il trionfo delle nuove forme di comunicazione aerea, marina, terrestre, radiofonica, telegrafica e telefonica. Un inno al dinamismo e allo slancio verso il progresso proclamati dalla poetica futurista.
Oltre alle sculture e ai quadri non mancano i manifesti del movimento, gli scritti, le poesie insieme ai fondamentali test cinematografici e sonori, come i film in bianco e nero di Antonio Giulio Bragaglia del 1916 o gli sbalorditivi suoni di uno ”intonarumori” di Luigi Russolo. “Fra le tante cose a cui i futuristi pensavano c’era la volontà di mettere lo spettatore al centro dell’opera d’arte, l’opera d’arte totale”, spiega la Greene.
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