Katarte / Edward Hopper. I cromatismi velati del pittore della solitudine
Mattinata in South Carolina, 1955. Olio su tela, cm. 78,5 x 102. ©Whitney Museum of American Art, donato in memoria di Otto L. Spaeth dalla sua famiglia
Biglietti non disponibili
Dal 25 marzo al 24 luglio 2016
Figlio della piccola borghesia angloamericana, già da bambino Edward Hopper (1982-1967) aveva una spiccata propensione al disegno. I suoi genitori lo spronarono con letture di riviste e libri d’arte. Nel 1899 si iscrisse a un corso per corrispondenza presso la New York School of Illustrating e nel 1900 frequentò la New York School of Art; finiti gli studi, intraprese il suo primo viaggio a Parigi dove fu affascinato dalla pittura impressionista. Tornato in patria, lavorò come illustratore pubblicitario per la C. C. Phillips & Company.
In mostra saranno esposte oltre 160 opere tra olii, acquerelli e disegni provenienti principalmente dal Whitney Museum di New York ma anche dai più importanti musei americani. Suddivisa in sette sezioni, la mostra ripercorre la parabola artistica di Edward Hopper, dagli studi a Parigi – presente il capolavoro Soir Bleu – fino al periodo “classico” e famoso degli anni dal ’30 al ’50.
Mentre in Europa si affermavano il cubismo e l’astrattismo, Hopper veniva attratto dai lavori della generazione precedente quali Manet, Pissarro, Monet, Sisley, Courbet, Toulouse-Lautrec e dal più classico Goya.
Cape Cod Sunset, Second Story Sunlight e A Woman in the Sun sono alcuni dei capolavori in mostra. Malinconia e tristezza sono i toni che distinguono l’alienazione, la mancata integrazione nelle piccole città; tutto è perduto per sempre. In mostra anche uno dei suoi Artist’s ledger Book, i famosi taccuini dove abbozzava molti dei suoi dipinti a olio.
Il più popolare e noto artista americano del XX secolo, eccellente disegnatore, padroneggiava con maestria varie tecniche: olio, acquerello, carboncino e l’acquaforte. Esplorando i disegni che abbozzava prima di tradurli in pittura, restiamo stupefatti dalla sua poliedricità. Tra i suoi soggetti preferiti vi sono le incantevoli immagini di edifici urbani desolati con i suoi abitanti, decrepiti negozi sbiaditi, prospettive di silenziosi appartamenti della middle class, spesso osservati dietro le finestre e paesaggi colmi di solitudine.
Oltremodo intrigante è la correlazione tra la pittura dell’artista americano e il cinema. I quadri di Edward Hopper sono scenografie su tela, straordinari modelli iconografici di riferimento per la settima arte. Alfred Hitchcock si ispirò al quadro La casa lungo la ferrovia del 1925, per il suo Bates Motel di Psycho; ma anche nelle opere di Antonioni, come Il Grido e Deserto rosso, David Lynch, e soprattutto in Wim Wenders si avvertono umori hopperiani.
E’ un occhio fotografico quello di Edward Hopper un “carpe diem” con luci e colori che si sublimano e si incrociano l’uno con l’altro in una perpetua composizione costantemente nitida, le campiture di colore sono ben nette, come contagiate dalla luce piena del sole. Della luce scriveva: “Quello che vorrei dipingere è la luce del sole sulla parete di una casa“.
Le sue tele traboccano di ovattati angoli remoti nel ricordo di un’auto che stazione alla pompa di benzina o la tranquilla e silenziosa tavola calda notturna e ancora il fragore musicale e ritmico dell’Oceano che ti spinge a scandire col piede un malinconico blues.
ll grande John Updike con un suggestivo ossequio in un saggio del 1995, definisce i suoi quadri “calmi, silenti, stoici, luminosi, classici”.
La mostra “Edward Hopper” è curata da Barbara Haskell, prodotta e organizzata da Arthemisia Group, Fondazione Carisbo, Genus Bononiae, Musei nella Città in collaborazione con il Comune di Bologna e il Whitney Museum of American Art di New York. Catalogo Skira.
Orari: Lunedì, Martedì, Mercoledì, Giovedì, Venerdì, Sabato, Domenica: 10.00 – 20.00
Biglietti. Intero € 13,00; Ridotto € 11,00
Link: www.genusbononiae.it
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