Katarte / Giacomo Boni. L’alba della modernità

Giacomo Boni. L'alba della modernità. Parco archeologico del Colosseo

Veduta della basilica Emilia durante gli scavi di Giacomo Boni

Giacomo Boni. L’alba della modernità

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Recensione

Archeologo e architetto, Giacomo Boni crede ben presto all’importanza di condividere con il grande pubblico il valore delle scoperte che hanno ridisegnato l’aspetto del Foro Romano ricorrendo a un linguaggio nuovo, non accademico, e alla fotografia

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Parco archeologico del Colosseo – Foro Romano e Palatino

Il Parco archeologico del Colosseo dedica una grande mostra alla figura di Giacomo Boni (Venezia, 1859 – Roma, 1925) nei luoghi in cui l’archeologo e architetto operò principalmente: il Foro Romano e il Palatino.

Curata da Alfonsina Russo, Roberta Alteri, Andrea Paribeni con Patrizia Fortini, Alessio De Cristofaro e Anna De Santis, organizzazione e promozione di Electa, la mostra “Giacomo Boni. L’alba della modernità” si articola in quattro sezioni:

  •  l’attività archeologica e il museo forense, nel Complesso di Santa Maria Nova;
  •  la vita di Boni, al Tempio di Romolo;
  •  la scoperta della chiesa e del ciclo pittorico bizantino, a Santa Maria Antiqua e nella rampa domizianea;
  • il contesto culturale e artistico del primo Novecento, nelle Uccelliere farnesiane.

Complesso di Santa Maria Nova

La sezione della mostra ospitata nel Complesso di Santa Maria Nova inaugurato come spazio espositivo in quest’occasione, è dedicata in generale all’attività archeologica di Boni al Foro Romano e in particolare al museo forense, da lui voluto e inaugurato nel 1908.

Nel racconto di questa figura atipica di archeologo (e per molti versi anticipatore) che ha trasformato lo studio dell’archeologia, sono stati messi in luce i suoi criteri espositivi, riproposti nei contesti di scavo come il sepolcreto arcaico di cui aveva fatto realizzare un plastico – adesso restaurato e in mostra – e come l’insieme delle sculture che decoravano la fontana di Giuturna.

Sono anche esposte delle teche disegnate dallo stesso Boni con l’organizzazione dei reperti come da lui disposta. Risulta così evidente il suo principio: rispettare l’integrità dei complessi riportati alla luce. Tutti i materiali sono ugualmente fondamentali: che si tratti di manufatti, resti antropologici, botanici, faunistici. Con il suo metodo innovativo ha sviluppato lo studio dei reperti anche da un punto di vista etno-antropologico.

Importante sottolineare anche il luogo scelto da Boni per istituire l’Antiquarium all’interno del chiostro quattrocentesco del complesso di Santa Maria Nova. I restauri di allora, avviati proprio per consentire l’esposizione dei reperti, portano alla luce non solo le trasformazioni dal Trecento al Settecento del chiostro stesso, ma anche parte della pavimentazione del pronao della cella dedicata alla dea Roma.

Tutti elementi che il percorso della mostra oggi ripropone, grazie anche a un recente intervento di manutenzione del complesso e di ristrutturazione delle sale espositive che restituisce al pubblico questi spazi chiusi al pubblico da più di dieci anni.

Tempio di Romolo

Al Tempio di Romolo si ripercoronno gli anni della formazione e i rapporti con la cultura anglosassone durante il periodo veneziano (1879–1888), l’arrivo a Roma con l’incarico presso la Direzione Generale Antichità e Belle Arti (1888–1898) e i successivi all’ufficio scavi del Foro Romano che portano a grandi scoperte.

E ancora dal 1907 quando il Palatino viene accorpato al Foro, fino all’anno della morte. Oltre a opere di De Carolis e Cambellotti, al centro del tempio è esposto il pallone frenato utilizzato con straordinaria intuizione da Boni per effettuare le vedute fotografiche degli scavi dall’alto.

Santa Maria Antiqua e rampa domizianea

Qui si racconta il ritrovamento della chiesa e del ciclo pittorico altomedievale di matrice bizantina, dopo l’abbattimento della chiesa secentesca di Santa Maria Liberatrice. Una scoperta, riccamente documentata dal gruppo di lavoro di Boni, che documenta l’avvio di un filone neo-bizantino che investe le arti e l’architettura dell’epoca.

Uccelliere farnesiane

È in questa sezione che emerge con forza l’aspetto meno noto del grande archeologo e architetto: il ruolo avuto negli ambienti culturali italiani ed europei degli inizi del Novecento. Ben introdotto nei circoli mondani e culturali della capitale – si ricordano i rapporti con il socialismo umanitario romano, costanti dopo il primo incontro nella redazione della Nuova Antologia, con Giovanni Cena, Sibilla Aleramo, Duilio Cambellotti – Boni venne definito poeta (e profeta) da Eleonora Duse, Ugo Ojetti e Benedetto Croce, per la capacità di ricostruire il mito delle origini dell’antica Roma.

Le scoperte che ridisegnano il Foro e il suo pensiero suggestionano il simbolismo romano, la cui onda lunga penetra nel Novecento alimentando il Liberty della capitale e arrivando almeno al 1913, aprendo all’affermazione delle Avanguardie.

L’approccio al mondo classico fatto di simboli, rievocazioni, allusioni cifrate è evidente nelle opere esposte di Bottazzi, Cambellotti, Dalbono, Discovolo, Grassi, Maldarelli, Netti e Sartorio, molte delle quali provenienti da collezioni private. Tra queste, spicca il dipinto Gli archeologi di Giorgio de Chirico, segno della memoria storica sempre presente.

Orari:

fino al 26 marzo 2022: 9:00-16:00; ​dal 27 marzo al 30 aprile 2022: 9:00-18:30
ultimo ingresso un’ora prima della chiusura

La mostra è visitabile con regolare biglietto di accesso al PArCo (24h – Colosseo, Foro Romano e Palatino oppure Full Experience)

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