Katarte / Lucio Fontana, non solo Tagli e Buchi
Lucio Fontana mentre realizza “Le Jour”, 1962, (part.)
Biglietti non disponibili
[dropcap]D[/dropcap]opo venticinque anni dall’esposizione al Centre Pompidou, le sale del Mam, Musée d’Art moderne de la ville de Paris propongono al pubblico la figura radicale e dirompente di Fontana (1899-1968) per una visione d’insieme su un percorso artistico tra i più eterogenei e stravaganti in assoluto. In sostanza, non solo tagli e buchi, ma anche, suono, movimento, ceramiche policrome, opere spazialiste e informali, ambienti, che consacreranno opere che hanno ispirato varie generazioni di artisti.
Realizzata con la collaborazione della fondazione Lucio Fontana, la mostra vanta capolavori provenienti da musei e collezioni private, come, ad esempio, Massimiliano e Doriana Fuksas, che hanno offerto il loro Modello del soffitto di neon che apre l’esposizione. Quattordici sezioni distinte dove abbondano Tagli, Nature, Venezie, Metalli e Teatrini, per dirne solo alcune, che svelano una creatività sempre in movimento e mai specificata, barcollando dalla gestualità elegante alla prodigalità di prodotti e colori che danzano dentro le tele.
Lucio Fontana, riceve una formazione classica in ceramica e pietra nello studio di scultura del padre in Sud America, ma trascorse i primi anni della sua vita in Italia per poi ritornare nel 1905 in Argentina, la sua terra d’origine, dove vi rimase fino al 1922. Nel 1926, partecipò alla prima mostra di Nexus, insieme ad un gruppo di giovani artisti argentini che lavoravano a Rosario de Santa Fé. Nel 1927 Fontana torna in Italia, dove studia con lo scultore Adolfo Wildt, presso l’Accademia di Brera. Da questa esperienza apprende l’importanza e la potenza espressiva dei materiali.
Nel decennio successivo viaggiò tra l’Italia e la Francia, collaborando con pittori astrattisti ed espressionisti. Nel 1935 entrò a far parte dell’associazione Abstraction-Création e dal 1936 al 1949 realizzò diverse sculture espressioniste in ceramica e bronzo. Nel 1939, si unì alla Corrente, un gruppo di artisti espressionisti di Milano. Nel 1940 tornò in Argentina, dove a Buenos Aires (1946) fondò l’Accademia di Altamira insieme ad alcuni dei suoi studenti, e presentò il Manifesto Blanco, dove si afferma che “la materia, il colore e il suono in movimento, sono fenomeni che, se sviluppati simultaneamente, danno origine ad una nuova arte”.
Pioniere dell’astrazione italiana degli anni Trenta, Fontana anticipa per primo l’arte informale con le sue sculture e nel 1947 fonda il movimento Spaziale. Spazialismo, un’arte sempre saltellante tra figurativo e astratto, tecnologia e nuove materie. E se qualcuno davanti a un buco su una tela azzarda uno spavaldo: “Lo potevo fare anch’io”, è d’obbligo rispondere che il gesto di Fontana, fisico e veloce ma straordinariamente meditato, racchiude una quantità infinita di significati profondi. Un gesto di ribellione che apre un altro mondo di sentire la tela: “Il buco è l’inizio di una scultura nello spazio. I miei non sono quadri, sono concetti d’arte”. “Nella mia professione di pittore, facendo un quadro con un taglio, non voglio fare un quadro: apro uno spazio, una dimensione nuova nell’orientamento delle arti contemporanee”, afferma l’artista.
Dopo il suo ritorno in Italia nel 1948, Fontana espone il suo primo Ambiente spaziale a luce nera (1949) alla Galleria del Naviglio di Milano, un’installazione temporanea costituita da una forma gigante d’Amoeba (organismo unicellulare) sospeso nel vuoto in una stanza buia e illuminata da luce al neon. Dal 1949 iniziò il cosiddetto Concetto Spaziale o Slash series, composta da fori o barre sulla superficie di dipinti monocromi, disegnando un segno di ciò che chiamò “un’arte per l’Era Spaziale”. Questi possono essere suddivisi in due grandi categorie: i Buchi a partire dal 1949 ed i Tagli creati dalla metà degli anni 1950.
Nelle sue opere, spesso Fontana rivestiva la parte interna delle sue tele con una garza nera, in modo che l’oscurità avrebbe luccicato dietro i tagli aperti per creare un misterioso senso di illusione e profondità e dopo il 1960, cominciò a reinventare i tagli e le forature che avevano caratterizzato il suo stile altamente personale fino a quel punto, coprendo le tele con strati di pittura ad olio denso applicata a mano e pennello.
In altri lavori, troviamo grandi lastre di rame lucido e graffiato, forato e cavato, tagliato da gesti verticali che richiamano la possente verticalità delle costruzioni di New York, con il metallo e con il vetro dei buildings. Tra le sue ultime opere, sono presenti una serie di Teatrini, in cui tornò a un linguaggio sostanzialmente piatto. Un’altra opera, Trinità, è costituito da tre grandi tele bianche punteggiate da linee di fori.
In occasione della mostra, la galleria parigina Tornabuoni presenta una tela originale ritrovata dopo trent’anni e creduta persa. S’intitola Le jour ed è datata al 1962. Risultato di una perforazione di una tela del suo amico Jef Verheyen, nella casa del collezionista d’arte Louis Bogaerts a Knokke, in Belgio, sarà esposta negli spazi della galleria fino al 21 giugno e accompagnata da un video-documentario dell’artista al lavoro: “È l’infinito. E allora buco questa tela, che era alla base di tutte le arti, ed ecco che ho creato una dimensione infinita, un buco che per me è la base di tutta l’arte contemporanea, per chi la vuol capire. Sennò continua a dire che l’è un büs, e ciao”. (Lucio Fontana).
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