Katarte / Nel 150º anniversario della sua nascita, Edvard Munch è celebrato in tutto il mondo
Biglietti non disponibili
fino al 27 aprile 2014 L’Italia rende omaggio al sublime artista norvegese (1863-1944) con un’imperdibile retrospettiva curata da Marc Restellini, direttore della Pinacotheque de Paris. “Realizzare questa mostra proprio nell’anno delle celebrazioni e con le enormi difficoltà legate ai prestiti di Munch è stato un miracolo.” – dichiarano gli organizzatori – “La scommessa è stata altissima, ma vedremo opere straordinarie, concesse dai più importanti collezionisti di Munch”. Per questo motivo l’esposizione di Palazzo Ducale è allo stesso tempo rappresentativa del percorso artistico ed esistenziale di Munch, ma anche testimonianza del passaggio da un naturalismo di stampo impressionistico a una pittura nuova e audace che contribuisce in maniera determinante a sconvolgere tutta l’arte del XX secolo. “La mostra racconta – continua Restellini – un Munch artista che potremmo in qualche modo considerare il contrario di tutto ciò che esisteva fino ad allora. Munch si oppone deliberatamente a ciò che vede e conosce. In una logica quasi anarchica, si mette in contrasto con l’impressionismo, il simbolismo, il naturalismo per inventarsi una forma di espressione artistica in rivolta contro tutto ciò che sin dalla sua infanzia gli è stato presentato come regola sociale”.
Nelle sale di Palazzo Ducale è possibile osservare la perizia dell’artista nelle diverse tecniche da lui affrontate. Munch scava negli strati di colore, insiste sulla linea e sul movimento, trasponendo su tela o su carta, nella pittura a olio o nelle incisioni, i suoi stati d’animo profondamente tormentati. Il senso della cinetica, che indaga con la fotografia, è la forza della sua opera, come ribadisce Restellini, e lo si può osservare, ad esempio, nelle incisioni della Madonna o del Vampiro, quasi fotogrammi di un film. In terzo luogo, la mostra delinea – attraverso 69 opere suddivise in sette sezioni – un percorso che ben rappresenta i temi fondamentali della vita dell’artista e quelli a lui più cari, come la nevrosi e la morte. Dai primi paesaggi e ritratti alle “incisioni dell’anima”, dai soggetti della “bambina malata”, che incarna i lutti famigliari, ai paesaggi espressionisti; dalla parentesi “luminosa” vissuta presso la famiglia del dottor Max Linde (è eccezionalmente esposto il portfolio completo, con 14 acqueforti e 2 litografie) agli splendidi ritratti vibranti e magnetici, che lo dichiarano davvero padre del Modernismo europeo.
Scriveva Giulio Carlo Argan nel 1970: “Il suo tipo non è quello del cinico amaro, ma del veggente ispirato, che della società prevede il destino tragico, l’ineluttabile caduta. Porta con sé il sentimento tragico della vita, che pervade la letteratura scandinava: Ibsen ma soprattutto Strindberg. Come Ensor, ma con più lucida coscienza, anche Munch non crede al superamento, al ribaltamento dell’Impressionismo: dalla realtà esterna all’interna. La sua tendenza spiritualistica lo porta verso il Simbolismo, ma anche il Simbolismo va rovesciato: non deve essere un processo di trascendenza, dal basso verso l’alto, dal trascendente all’immanente. Il simbolo non è oltre ma dentro la realtà: attacca le radici stesse dell’essere, l’esistenza e l’amore, l’amore diventa ossessione sessuale, la vita morte. La rappresentazione stessa deve in un certo senso autodistruggersi: la parola deve diventare, o tornare ad essere, urlo. Il colore deve bruciarsi nella sua stessa violenza: non deve significare ma esprimere”. Edvard Munch non è un pittore che si fa amare e non è un pittore che vuole piacere, nonostante il suo Urlo serva abbondantemente a decorare cuscini, taccuini, ombrelli, giochi gonfiabili e tazze mug. D’altronde l’arte moderna non deve “piacere” e sfugge per costituzione –vivaddio – alle categorie della contemporaneità cui ci ha abituati Facebook. Munch non deve e non può piacere perchè non riappacifica lo sguardo, non concilia con la vita, non libera la mente e neppure l’interroga, visto che la sua condanna è scritta e inappellabile. Eppure ci cattura.
Con le sue opere migliori mette in atto una straordinaria capacità di risucchiare lo sguardo nel vortice di dimensioni stranianti, su quello spartiacque tra inferno e limbo dove risiede la sua anima d’artista massacrata dal disagio. E’ la condizione dell’uomo moderno – ci dice – ognuno è solo coi propri fantasmi, alla luce di un pallido sole del nord che nemmeno a dipingerlo puoi renderlo vivace, perchè l’arte non è nata per essere consolatoria, ma “è il sangue del cuore umano”. E’ questo che ci dice Munch, è questo che lo rende uno dei più grandi del ‘900. La rassegna si divide in otto sezioni: nella prima e nella seconda sono esposte le opere giovanili; i suoi paesaggi sono talvolta naturalisti, altre volte di derivazione impressionista. I suoi volti sono austeri e indagatori, e il tratto è ancora preciso, lontano dalla “velocità” che seguirà nelle opere più tarde. La terza parte raccoglie le incisioni raffiguranti vampiri e Madonne, dagli occhi fissi, malinconici. I colori utilizzati sono per lo più il rosso e il nero, ovvero la vita e la morte, che insieme alla passione, sono stati i temi da sempre affrontati dal tormentato pittore. Si giunge poi al racconto del Simbolismo, che Munch conosceva molto bene.
Le opere mostrano un segno che l’ha reso il vero precursore dell’Espressionismo: aggressione della materia con scalfitture e un uso del colore con la massima levità balzano immediatamente agli occhi. Quinta e sesta sezione si rivolgono rispettivamente alla produzione di Munch più “luminosa” (1904), al contrario a quella realizzata intorno al 1930, anno in cui si è trasferito nella sua tenuta di Ekely a causa della quasi totale cecità, che l’ha indotto a lavorare moltissimo su autoritratti, nella ricerca del senso della sua propria esistenza. Le ultime sale, infine, illustrano l’universo femminile Munchiano. Le sorelle erano bionde, mentre la madre castana. Esattamente come le sue ragazze sul ponte. Nei ritratti di famiglia le donne hanno mani sul ventre e pose mansuete. Le donne della sua vita, invece, le sue amanti e la sua fidanzata, appaiono rosse di capelli, come serpenti, hanno le mani nascoste e busti in avanti. “È sorprendente scorgere così presto nella storia dell’arte moderna un artista capace di staccarsi da tutte le convenzioni alle quali ci avevano abituati gli artisti e i movimenti precedenti; ed è prodigioso notare sin dagli anni Ottanta dell’Ottocento come Munch si accanisca sugli strati di colore, vederlo letteralmente solcare la superficie pittorica o lasciare le sue tele esposte alla pioggia e alla neve, trasferire fotografie e fotogrammi di film muti all’interno dei suoi dipinti e dei suoi lavori grafici. Stupefacente è anche l’audacia con cui sopprime i confini tra i supporti e le tecniche, nelle sue incisioni, sculture e fotografie, come nei suoi quadri, collage e film. Munch s’iscrive nella linea di William Turner e di Gustave Courbet, è l’anello mancante della catena che unisce artisti come Pablo Picasso, Georges Braque, Jean Dubuffet e Jackson Pollock nella storia del modernismo. Autentico innovatore per quanto riguarda l’apporto della cinetica all’arte, egli fu anche un modello in termini di avanguardia e di rottura con i modelli precedenti” conclude il curatore.
interpretare intense emozioni nel momento stesso in cui si lavora in presa diretta sulla natura – o la natura osservata in termini di intense emozioni – questa è un’operazione che logora atrocemente i nervi. Prendere atto, nell’arco di poche ore, della natura assolutamente indifferente di cui si è parte. E di conseguenza, nel corso di quelle poche ore, permetterle di trasmutarsi attraverso la trasparenza degli occhi – camere del cervello – del cuore – e dai nervi, che la loro stessa passione surriscalda. L’incandescente fornace della mente divora con ferocia il sistema nervoso
Per concludere, un omaggio ai visitatori: “Warhol after Munch” che presenta una serie di opere realizzate dal genio della pop art reinterpretate e ispirate, appunto, al lavoro di Munch. L’accostamento potrebbe sembrare azzardato, in realtà tra i due c’è un legame molto più stretto di quanto non si possa sospettare. Innanzitutto la riproducibilità dell’opera, che è anche la questione più stravolgente dell’arte del Novecento , viene affrontata da Munch e Warhol ne farà uno dei suoi principali tratti distintivi, attraverso un’infinità di variazioni. L’Urlo ne è esempio essendocene ben quattro differenti versioni, ma anche di altri dipinti l’artista norvegese ha realizzato più copie, sei quelle del Bambino malato e delle Giovani Donne sul ponte e addirittura dodici quelle del Vampiro. Altro aspetto che li accomuna è la manipolazione del lavoro, che spesso passa attraverso una serie di alterazioni che nulla hanno a che fare con il disegno o la stesura del colore, e da aggiungere poi la grande cura grafica nell’impaginazione.
Link: www.mostramunch.it
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