Katarte / Vincent Van Gogh / Antonin Artaud: due geniali follie
Biglietti non disponibili
Fino al 6 luglio 2014
Un saggio di Antonin Artaud (1896-1948), attore e regista teatrale francese, è stato lo spunto per progettare ed allestire questa mostra dedicata al grande artista olandese. Riprendendo le parole di Artaud, “No, Van Gogh non è pazzo, è stato spinto alla disperazione suicida da una società che ha respinto le sue opere”. ” Da quel momento ha continuato ad accusare la gente e la società nel suo complesso di spingere Van Gogh al suicidio”. Così ha commentato la curatrice Isabelle Cahan.
Il libro, “Van Gogh, il suicidato della società” fu pubblicato nel 1947. In aperta guerra con chi aveva definito“squilibrato” e “maniacale” il personaggio Van Gogh, Antonin Artaud scrisse il saggio con l’intento di denunciare una società dalla “coscienza malata”, per riscattare il grande artista e la sua pittura. L’assunto di Artaud? Il suo atto non fu la conseguenza di una allucinazione delirante, ma fu vittima della società che annienta coloro che hanno il coraggio e la temerarietà di liberarsene. Un “delitto pianificato” contro chi vuole essere diverso, come un genio ispirato e visionario quale era Van Gogh.
E’ con le sensazioni di Antonin Artaud su Van Gogh che le opere sono state selezionate e presentate. Non è un artificio ideato per suscitare clamore, ma un accorgimento mirato al fine di proporre da un lato una rilettura originale di quarantacinque quadri del pittore, in gran parte celebri, e dall’altro uno straordinario gruppo di grandi disegni di Artaud, in particolare i suoi esplosivi e allucinati autoritratti degli Anni ’40.
“Van Gogh era uno squilibrato con eccitazioni violente di tipo maniacale, con scatenamenti brutali come manie rabbiose. La sua mancanza di ponderazione mentale si rivelava nell’eccentricità: ingoia colori, minaccia Gauguin e il dottor Gachet, esce di notte per dipingere alla luce di una corona di candele fissata sul cappello. Ossessionato da idee di autocastrazione, si mozza il lobo di un orecchio…” Queste sono alcune righe di una diagnosi su Van Gogh dello psichiatra François-Joachim Beer pubblicato su una rivista nel gennaio 1947, quando al museo dell’Orangerie è in corso una mostra retrospettiva dell’artista.
Le parole dello psichiatra francese furono la scintilla che provocò in Artaud il bisogno di scrivere il suo saggio, anche se in un primo momento rifiutò perchè in quel periodo stava lavorando alla sua raccolta di scritti che doveva uscire da Gallimard. Sentiva il bisogno di contestare il quadro clinico della follia che affliggeva il pittore olandese stilato da Beer, portando avanti un’analisi diametralmente opposta a quella dello psichiatra francese. Bisogna ringraziare Beer perché è stata proprio quella sua interpretazione a scatenare l’indignazione di Antonin Artaud che produsse in seguito un feroce dibattito. Soffermandosi in particolare sulle monografie, studiando a fondo ed interiorizzando lo spirito dell’artista (con cui in parte si identifica), completò il lavoro in un mese circa.
Il circuito espositivo delle tele di Van Gogh si snoda in un carosello di sezioni con riferimento alle riflessioni e approfondimenti dello scrittore, come se lo stesso Artaud, ne fosse il curatore. Ed è con il suo sguardo attento, con il suo animo e con le sue struggenti interpretazioni, che i visitatori sono spronati a rivivere i sommi capolavori di Van Gogh: gli Autoritratti; Stanza di Arles; La sedia di Gauguin; il pacifico ritratto di Père Tanguy e quello pensieroso del Dottor Gachet; le incatramate Vecchie scarpe o le due Aringhe su un piatto (un regalo a Paul Signac); i Paesaggi con cipressi e i Cieli stellati; i suoi fiori; e infine gli ultimi depressi Campi di grano a Auvers-sur-Oise, appena prima della fine il 29 luglio 1890.
Le analisi di Artaud sono di infuocato acume. Ecco qualche esempio. Sulla “drammatica sensibilità”degli autoritratti: ” Un matto Van Gogh? Io non conosco un solo psichiatra capace di scrutare un volto di uomo con una forza così schiacciante, e dissecarne come con un bisturi l’essenza psicologica”. Certo è che Artaud indirettamente si riferiva anche ai suoi Autoritratti (in mostra in una sala attigua) in cui sono palesi i segni devastanti dell’elettroshock a cui era stato a lungo sottoposto.
Il commento su La sedia di Gauguin è di un lirismo suggestivo: “Un portacandela su una sedia, una poltroncina di paglia intrecciata/un libro sulla poltroncina,/ecco il dramma chiarito./Chi entrerà?/Sarà Gauguin o un altro fantasma?“. A proposito dei Girasoli, considerati come la quintessenza dell’arte del pittore, il giudizio è di lampante verità: “… Sono dipinti come dei girasoli, e niente di più, ma per comprendere un girasole nella natura bisogna ormai ritornare a Van Gogh”. Sono più che mai convinto, tuttavia, che quel giorno lì, il giorno in cui si è suicidato a Auvers-sur-Oise, Van Gogh deve al dottor Gachet, di Auvers-sur-Oise, gli deve, dico, di aver abbandonato la vita – poiché Van Gogh era una di quelle nature di una lucidità superiore che permette loro in ogni circostanza di vedere più lontano, infinitamente e pericolosamente più lontano della realtà immediata e apparente dei fatti”.
Quello che più colpisce Artaud nell’arte di Van Gogh, “il più pittore di tutti i pittori“, è il fatto che “senza andare più in là di ciò che definiamo pittura e che è la pittura, senza andare al di là del tubetto di colori, del pennello, del motivo e dei limiti della tela, per rincorrere l’aneddoto, il racconto, il dramma, l’azione immaginata, alla bellezza intrinseca del soggetto o dell’oggetto, è arrivata a impregnare di passione la natura e gli oggetti con un’intensità che non ha nulla di meno, sul piano psicologico e drammatico, rispetto ai racconti di scrittori come i più favolosi racconti di Edgar Allan Poe, Herman Melville, Nathaniel Hawthorne“.
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